Storia del telefono murale
Massì, é solo una questione di parole.
E di colore.
E di marcia sul posto e fili tirati, attorcigliati, sfiancati: siamo già ai bacetti maialini, forse che fra poco riappende, la cornetta, il giovinastro in telematica fregola. Era ora, era l'ora che l'ultimo scatto sanciva.
Provatevi voi, a riappendere un cellulare, anche volendo: si è mai visto un telefonino impiccato?
Ci siamo dunque disfati dei fili, definitivamente sfibrati.
Ci siamo dunque sbarazzati dello spazio angusto del corridoio semibuio, sul bordo dei cessi, vicino al distributore automatico delle sigarette.
Ci siamo liberati dai gettoni.
Ci siamo affrancati dagli olezzi di disinfettante che malamente interferivano coi dolcissimi verbi, inequivocabilmente attivi: t'amo mia candida tazza che mi salvi dagli inumani sforzi del cagatoio alla turca.
Ci siamo definitivamente disgombrati dal tanghero importuno che 'l fumo attira: sblang, la moneta che il distributore multicolore implacabile rifiuta, sbling, e rigetta e vomita, gravemente nocendo ai languidi fantasmi orali (e scritti?).
"Scusi, non ce l'avrebbe un gettone?"
"E come no, e che te lo infili da te o ti ci vuole un aiuto?"
Col che l'amore non sempre poetico era, ai tempi, del telefono murale.
Nero e puzzone.